LIVE NIRVANA INTERVIEW ARCHIVE February ??, 1994 - ??, IT

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Interviewer(s)
Unidentified Hard! Correspondent
Interviewee(s)
Kurt Cobain
Publisher Title Transcript
Hard! Presunto colpevole Yes (Italiano)
Hard! Altrimenti ci arrabbiamo Yes (Italiano)

E’ vero che con il Natale tutti cercano di avere la coscienza pulita, ma sembra che ultimamente si stia esagerando: il mese scorso abbiamo parlato con uno Steve Harris in vena di rivelazioni e con un Dave Abruzzese (Pearl Jam) ancor più propenso a fare confessioni, questo mese invece tocca a una persona che non avremmo mai ritenuto capace di comportarsi in modo amichevole: Kurt Cobain dei Nirvana. A quanto pare il piccolo cambio di direzione apportato dalla band allo stile con il nuovo In Utero ha fatto sì che Kurt riuscisse a liberarsi dai fantasmi di un disco come Nevermind, un album tanto “storico” quanto inaspettato dalla band stessa e capace di far entrare i Nirvana in un doppio stato di esaltazione e di frustrazione, nell’incubo di non riuscire mai più a ripetere il colpaccio. Più che a proposito del nuovo disco, data la particolare vena del nostro interlocutore, abbiamo voluto incentrare la nostra conversazione proprio su quei punti dolenti che hanno fatto scalpore fino alla fine dell’anno scorso, per trovare finalmente una risposta definitiva alla presunta scontrosità di Kurt, alle voci sullo scioglimento, ai problemi coniugali e di droga che [egli] ha passato e così via, tenendo comunque conto che chi ci parla si è presentato come un “tenebroso a cui piace sempre e comunque fare rivelazioni distaccate, in modo da mantenere un certo spazio tra gente e il sottoscritto…” e che quindi è il caso di tenersi pronti a leggere le sue rivelazioni tra queste righe...

- Qualche tempo dopo la pubblicazione di Nevermind siete quasi scomparsi dalla scena pubblica. Ai tempi eravate “stanchi”, e oggi?

KC: Il fatto che fossimo stanchi è fuori discussione, infatti anche se il nostro disco stava vendendo un sacco di copie eravamo decisamente legati alla nostra mentalità, che ci portava a lavorare fino a spaccarci le ossa per promuovere Nevermind in ogni luogo e in ogni modo. E’ comunque altrettanto vero che la stanchezza non era assolutamente l’unico motivo per il nostro comportamento di quei tempi. Soprattutto io, infatti, soffrivo della “sindrome del punk”, a causa della quale si cerca di non comprendere l’ovvio, e cioè il fatto che ormai anche noi, i Nirvana, la band che aveva portato in auge il post-punk con un’attitudine assolutamente ribelle, fossimo entrato a fare profondamente parte di un business che avevamo sempre aborrito come la peste.

- Ma al momento della vostra unione non sognavate di vivere di musica, vendere un sacco di dischi e fare tutte quelle cose che tutte le giovani band, in un modo o nell’altro, sognano di riuscire a realizzare?

KC: No,non siamo nati con queste idee con la mente o meglio, certamente la nostra aspirazione maggiore era quella di arrivare, un giorno, a poter vivere della nostra musica, ma noi inseguivamo un successo di ben minori proporzioni: i nostri idoli Sonic Youth e quindi speravamo di poter arrivare al loro livello, che per noi era il massimo. Non ci è mai interessata la fama dei Guns N’Roses, noi siamo diversi da loro, a nostro parere non abbiamo nulla di diverso dalle migliaia di altre band e invece ci siamo ritrovati a vendere milioni di copie dei nostri dischi, ad essere considerati i capigruppo di un fantomatico genere musicale ed addirittura ad essere additati i guru di un nuovo modo di pensare. No, non abbiamo mai cercato tanto, anzi tutta questa roba inutile non ha fatto altro che crearci grosse difficoltà, in quanto noi abbiamo finito col chiuderci sempre di più in noi stessi, mentre tutta la stampa e la gente cercava di farci “aprire”, di trovare qualcosa di fantastico in noi, qualcosa che noi stessi non abbiamo mai pensato di avere ed effettivamente non abbiamo.

- Quindi ritieni che la brutta fama che vi siete fatti nel mondo della stampa e le dichiarazioni offensive che avete fatto a molti dei vostri fan, in giro per il mondo, dipendano solo da questo vostro terrore per la fama?

KC: In un certo senso è proprio così. Quel periodo è stato tremendo, non ne potevo più di tutte le parole che venivano dette sul mio conto, tantomeno sulle invenzioni che finivano sempre e comunque per infangare il mio nome e la mia vita. Il risultato è stato tremendo, perché ho finito veramente per fare quello che la gente si inventava: un sacco di volte ho pensato di sciogliere la band perché ero stanco e un sacco di volte ho insultato gente innocente solo perché ormai quello doveva essere il mio modo di comportarmi. La critica ha un enorme potere, perché a furia di battere continuamente sullo stesso chiodo finisce per convincerti veramente che tu fai le stesse cose che dicono i giornalisti. E’ pazzesco!

- Qual è stata la cosa che più ti ha dato fastidio?

KC: Inizialmente è stato l’accomunare il mio problema con l’eroina con la presenza di mia moglie Courtney Love. A parte il fatto che è incredibile come la gente possa venire a sapere cose che tu nascondi in ogni modo, ancora più incredibile è la leggerezza con cui queste cose vengono trattate. Non posso negare che io sia stato un eroinomane, per qualche mese mi sono bucato una volta al giorno ed anche quando mia moglie ha smesso a causa della gravidanza io ho continuato. Lo facevo per anestetizzare il mio dolore, psichico per i motivi sopracitati e fisico per problemi che non mi lasciavano un attimo di tregua. Sono felice di essere uscito dal mondo dell’eroina, ma veramente non ho sopportato che tutta la stampa si è gettata su mia moglie per trovare un colpevole per una decisione tanto stupida.

- Mi pare di avere inteso che ci sia stato qualcos’altro che ti ha infastidito…

KC: E’ una cosa di minore importanza, ma per un musicista è comunque molto rilevante. Noi abbiamo sempre inteso i Nirvana come unico essere, non come persone distinte ed anche il discorso della produzione della musica e della composizione dei pezzi ha avuto poca importanza: erano i Nirvana a comporre le canzoni. Tuttavia chi sta all’interno della band sa che il novanta per cento delle canzoni sono state composte dal sottoscritto ed il fatto che tutta la stampa abbia, per chissà quale motivo, attribuito tutte le composizioni a Dave o Chris non ha fatto altro che aumentare le mie frustrazioni, in quanto è sempre auspicabile ricevere un po’ di complimenti, no?

- Chiudiamo con un pensiero per In Utero… Un ritorno al passato?

KC: No,assolutamente. Negli ultimi mesi prima della pubblicazione di In Utero abbiamo lavorato per farci una ragione del successo che abbiamo avuto, senza più condannarlo, ma accettandolo per quello che è e, anzi, ringraziando che sia così, perché in fin dei conti abbiamo potuto toglierci delle grosse soddisfazioni. Qualcuno ha detto che In Utero è il canto del cigno, un modo per ostentare il fatto che noi ci riteniamo dei punk anche se facciamo molti soldi ma per me non è così: In Utero è solo il nuovo album dei Nirvana.

© Hard!, 1994

Non molto tempo fa, precisamente sul numero 43 di HARD!, vi abbiamo proposto un’intervista con Kurt Cobain, leader carismatico dei Nirvana, nonché neo “uomo più incazzato del panorama rock”, dopo la dipartita dell’ormai affidabile Dave Mustaine. In quel periodo In Utero, nuovo album della band, era uscito da poco tempo,senza per altro suscitare clamori eccezionali, anche noi ci limitammo quindi a fare delle domande retrospettive su alcuni punti oscuri della band e del personaggio stesso, fermo restando che ci saremmo presto risentiti per parlare un po’ più diffusamente del nuovo disco.

Oggi, finalmente, è arrivato il momento: non è passato molto tempo dalla loro calata nel Belpaese e quindi, puntualmente, abbiamo tenuto fede alla parola data, raggiungendo nuovamente il biondo cantante dei Nirvana.

- Ormai è giunto il momento di tirare le prime somme relative a In Utero: positive o negative?

KC: Dal punto di vista del successo che sta ottenendo questo disco non possiamo di certo lamentarci, tuttavia ci sono troppo spesso critiche a proposito della musica che mi danno veramente fastidio. Non sopporto che la gente e soprattutto alcuni giornalisti che non sanno neanche come si scrive “punk” si permettano di dare giudizi in merito alla qualità della nostra musica o, peggio ancora, relativamente al nostro modo di comportarci. Spesso mi sento dire che mi sono rammollito, che ora sono felicemente sposato, che ho messo la testa a posto, per poi sentire subito dopo l’esatto opposto da un’altra persona, quindi che sono un pazzo furioso, drogato e dissacratore. Ma dico, un po’ di coerenza a questo mondo non esiste proprio?

- Tornando ad In Utero, che responso sta ottenendo presso la gente, il che è sicuramente la cosa più importante?

KC: Anche in questo caso bisogna fare un distinguo,in quanto ci sono gli stupidi che hanno dato retta ad alcuni giornali, che adesso ci odiano per i motivi detti prima; fortunatamente i primi sono pochi, perché altrimenti dovremmo chiudere i battenti. Considerato il successo che ha ottenuto la nostra tournée americana potrei dire che In Utero sta ottenendo un successo mostruoso: tanto per cominciare, invece di suonare nei piccoli club nei quali ci siamo esibiti fino a due anni fa,ora tutte le date sono state prenotate in auditori e piccoli stadi del tipo di quelli da basket; poi l’affluenza del pubblico è più che soddisfacente: raramente abbiamo registrato il tutto esaurito, ma ci siamo andati vicini più volte. Infine la cosa più importante e cioè la partecipazione del pubblico è veramente incredibile, specialmente durante Smells Like Teen Spirit si creano dei veri e propri vortici di gente che balla, canta, urla e a volte quasi si ammazza. E’ veramente entusiasmante suonare in simili condizioni.

- Hai accennato a Smells Like Teen Spirit , si nota qualche differenza nel modo in cui il pubblico accoglie la song di Nevermind, rispetto a quelle di In Utero?

KC: Assolutamente no, anche se ci fosse devo dire sinceramente che non me ne accorgerei affatto. Durante lo show sono completamente fuori di me, non perché ho preso qualcosa, ma solo perché la musica, il live, mi sconvolge la mente più di qualsiasi altra cosa. Sul palco mi estraneo letteralmente dal mondo che mi circonda, diventando un altro e mi libero di tutto il male che è dentro di me: alcune recensioni dei nostri concerti sono state negative per questo fatto, poiché dicono che non parlo molto col pubblico e che mi comporto come se fossi indemoniato. Non posso veramente farci nulla, è una reazione naturale alla mia musica; un momento sono ‘tranquillo’, davanti al mio microfono a cantante,mentre il momento seguente ho spaccato la mia chitarra contro un amplificatore. In Arizona è successo che verso la fine del concerto sono salito sulle transenne antistanti al palco e mi sono tuffato a volo d’angelo sul pubblico. Quasi non me ne sono accorto, ma mi hanno detto che se non fosse stato per due ragazzi della security che mi sono venuti a prendere si sarebbe rischiato il peggio. Al di là di questo, sono profondamente convinto che esista una grossa differenza tra Nevermind e In Utero, in primo luogo per l’attitudine musicale e poi per il fatto che questa volta non c’è una canzone come Smells [Like Teen Spirit], in grado di conquistare da sola il favore di migliaia di persone. Comunque, sono soddisfatto così, perché In Utero mi piace e non sono propenso a riscaldare la minestra quando devo mangiare.Credo che tu mi capisca, vero?

- Indubbiamente. Toglimi una curiosità: perché Chris Novoselic – il bassista della band – si è cambiato il nome in Krist? Si è forse dato alla religione?

KC: No, no… Non c’è una ragione vera e propria. Krist ha semplicemente giocato sullo spelling del suo nome…Roba da rockstar, sai… (ride, ndr).

- Pare che il vostro nuovo chitarrista, Pat Smear – una volta con i Germs, punk band di Los Angeles - non abbia avuto un grande consenso di critica durante il tour americano…

KC: Non è proprio così. Effettivamente alcune critiche non sono state eccezionali, ma perlopiù erano poco obiettive. L’atteggiamento di Pat durante i concerti varia molto spesso, a seconda della canzone ed a seconda della sua voglia. Lui è fatto così e non si può far nulla per cambiarlo, ma sinceramente non mi sembra che faccia nulla di meno di quello che faccio io o che fa Krist. Probabilmente qualcuno ha pensato che abbiamo scelto Pat solo per salire sul palco e fare casino, tant’è che spesso hanno detto che la sua chitarra non si sentiva affatto. Il motivo è tutt’altro! Vincendo il mio innato astio nei confronti di coloro che si appoggiano ad altri per fare il proprio lavoro, abbiamo deciso che, per meglio supportare In Utero e per non perdere nulla in quanto a impatto sonoro delle canzoni, sarebbe stato utile affiancarmi un altro chitarrista che avesse più o meno le mie stesse caratteristiche. Abbiamo anche pensato di chiamare il chitarrista dei White Zombie, ma poi abbiamo deciso che Pat sarebbe andato bene e trattandosi di un nostro amico lo abbiamo chiamato. Non so se anche per il futuro confermeremo questa formazione o se torneremo sui nostri passi, fatto sta cha al momento suoniamo così, a noi va bene e in più crediamo che Pat sia tutto tranne che statico sul palco!

© Hard!, 1994